Alla luce dell’interesse suscitato dall’argomento, vogliamo fare riferimento ad un’ordinanza recente della Corte di Cassazione (Sez. Civile), la n. 12139 del 11 giugno 2015, che si pone come obiettivo quello di fissare dei limiti nell’installare un sistema di videosorveglianza che riprende, anche se solo in parte, aree comuni.
L’ordinanza ha validità piuttosto ampia, in quanto vale sia per le abitazioni private monofamiliari sia per i condomini. La Cassazione ha accolto la richiesta di rimozione di due telecamere le quali, a giudizio del ricorrente, essendo puntate verso l’ingresso di un’abitazione privata, avrebbero potuto ledere la privacy del vicino perché, potenzialmente, avrebbero potuto riprendere alcuni suoi movimenti.
A nulla è valso, in sede di ricorso in Cassazione, sostenere che una delle telecamere fosse guasta e l’altra fosse orientata in modo da poter riprendere soltanto parti del corpo (le gambe, nello specifico) dalle quali risulti pressochè impossibile identificare una persona.
L’ordinanza, inoltre, non fa alcun riferimento nemmeno ai regolamenti emanati dal Garante (nel 2004 e nel 2010) per quanto concerne l’esposizione del cartello obbligatorio (informativa) ed al tempo di conservazione, dimostrandosi lacunosa nel fornire un giudizio di merito sull’obbligo di smontare le telecamere oggetto del ricorso.
Nel caso della videosorveglianza condominiale subentrano ulteriori fattori. L’installazione di un sistema di videosorveglianza è ammesso purchè, in via preventiva, venga deliberata dall’assemblea condominiale l’approvazione all’installazione dell’impianto, seguendo un iter formale articolato (in prima convocazione con un quorum di 2/3 del valore e maggioranza per teste, e voto favorevole della maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore dell’edificio. In seconda convocazione basta, invece, la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio.)
Non solo: una volta ottenuto il via libera dall’assemblea, sono ammesse la ripresa e la registrazione delle parti comuni, ma rispettando i regolamenti del 2004 e del 2010 (contrariamente a quanto sostenuto dall’ordinanza del giugno scorso), unitamente ai dettami del Codice della Privacy, cioè l’informativa (l’apposizione dei cartelli) e la conservazione delle immagini, tendenzialmente 24/48 ore, se non concesso diversamente dal Garante, ovvero salvo quanto previsto dal regolamento del 2010 in cui, seppur in modo non sufficientemente chiaro, è possibile arrivare ad una settimana; ferme restando le nomine, obbligatorie, delle figure previste dal Codice e dai successivi regolamenti (titolare del trattamento, eventuali responsabili esterni, tipi e modalità di trattamenti ammessi).